La costruzione di un Catamarano di 14'
di  Alessandro Comuzzi

L'idea di costruirmi una barca, per dir la verità, l'ho sempre avuta. Quand'era giovane anche mio padre ne costruì una e io non potevo sottrarmi alla sfida. Così ho iniziato la costruzione di un piccolo catamarano da 14 piedi (4.25m).
Dopo una discreta ricerca ho scoperto la pubblicazione di G.D'Alì (Un piccolo catamarano fatto in casa). "una buona idea", pensai. 
Così decisi di acquistarla e dopo averla letta e riletta almeno 20 volte, optai proprio per un catamarano. Prima immaginavo lo scafo unico, ma cambiai idea leggendo D'Alì e progettai una versione leggermente più grande del 10' proposto da lui e con alcune modifiche. Realizzai un modellino in scala che immediatamente testai nella vasca da bagno con grande successo. Mi convinsi che il progetto era fattibile. Molte difficoltà che non immaginavo le incontrai già nella costruzione del modello (consiglio a tutti i futuri costruttori di cominciare con un modello ben fatto). Si avvicinava l'estate e la scuola finiva (finalmente). Mi trovavo a dover decidere se costruire il natante o vivere un estate "normale" come i mie compagni? Decisi per il natante ovviamente. Sapevo che per la costruzione e soprattutto per avviarla dovevo spendere soldi. Trascorsi quindi un'estate a lavorare con un'impresa stradale. Allo stesso tempo (sere, sabati, domeniche) iniziai la costruzione del catamarano.
Dopo il progetto e il modello, compilai una distinta del materiale da acquistare. Nuovo problema: come trasportare i  pannelli di compensato marino 310x150? con la macchina? Serviva un furgone o qualcosa di simile. In giro non ne vedevo, spariti tutti i furgoni dalle mie conoscenze. Avevo appena cominciato e già mi serviva l'aiuto di terzi! Furgoni alla fine non si combinarono ma il mio "vecchio" amico Michele (che ringrazio ancora di cuore), per trasportare quegli ingombranti pannelli di legno, mise a disposizione il suo mitico WW Caravelle allestito con tendine e divanetti. Comprai pannelli di compensato marino di Okumé delle spessore di 4 mm per gli scafi e un pannello da 15 mm dal quale ritagliare altre parti strutturali. Fu la prima botta alle mie deboli finanze!
I pannelli dovevo metterli in forma. Il sistema illustrato nel libretto non mi convinse abbastanza, perciò realizzai un altro modello: un telaio con mezzi morali 3x6 distanziati di 40 cm e tra i quali infilai le strisce di compensato (larghe 50) adeguatamente bagnate e scaldate utilizzando il vaporetto (della zia!).
Lasciai in forma i pannelli per circa una settimana, in modo che si asciugassero per bene. Una volta tolti dal telaio, i pannelli non avevano mantenuto la stessa curvatura come avevo sospettato (per questo motivo avevo diminuito la corda rispetto a quella di progetto). Il risultato fu tuttavia soddisfacente.
Nel frattempo, avevo acquistato 11kg di resina epossidica. Praticamente 10 kg gratuitamente. Sarei andato incontro alla secondo botta finanziaria se avessi dovuto sborsare. Colgo l'occasione per ringraziare nuovamente la persona generosa che mi agevolò così tanto.
A questo punto il cantiere era avviato. Ritagliai i dormienti, li incollai sui pannelli, realizzai le lapazze per unire i pannelli e ottenere la lunghezza di 425 cm; realizzai i due specchi di poppa, cucii le prue e la chiglia con filo di ferro e nel giro di pochi giorni, l'informe legname aveva preso la vaga forma di due scafi. Quindi, realizzai i bagli per obbligare i pannelli degli scafi ad ottenere la forma corretta. Provvidi ad aumentare lo spessore di quelli in corrispondenza dei collegamenti delle traverse per potervi inserire un particolare metallico che stavo progettando ad hoc.
Mi dispiace non avere documentazione fotografica di questi particolari, ma sono disponibile a descriverli per chi ne avesse bisogno. A poco a poco stavo prendendo confidenza con l'epossidica che mi aveva già irrigidito irrimediabilmente diversi pennelli! I due scafi avevano assunto la forma definitiva e provvidi a resinarli dentro e fuori. All'interno rinforzai con fibra di vetro i punti più soggetti a sollecitazione, come prue, specchi di poppa e chiglia. Per la chiglia usai un pastone di segatura e resina per rinforzare maggiormente. 

Nei bagli avvitai autofilettanti inox impregnante di epossidica per garantire migliore aderenza.
Venne il momento di tradurre l'idea per collegare le traverse tra i due scafi. Prima di decidere avevo pensato molto e schizzato molte ipotesi. Acquistai una lamina di acciaio da 2mm, ritagliai le sagome adeguatamente dimensionate e le saldai su profili a "U" da  2 mm sempre di acciaio, che sarebbero dovuti cadere a cavallo dei 4 (2 per scafo) bagli.
Questi erano stati aumentati appunto per accogliere questi elementi. Trapanai, saldai, limai, 'flexai" e ottenni quel che volevo. Questi 8 elementi furono avvitati e resinati allo scafo. Sono i nodi sui quali si concentreranno tutti gli sforzi di trazione torsione e flessione, per cui decisi di resinarli completamente e di aggiungere alcune autofilettanti inox sui dormienti.
Nelle immagini si possono notare i particolari d'attacco delle traverse e le sagome dei tubi di anticorodal 6060 (traverse) della sezione di 60mm sp 2 mm. All'interno del profilo a "U" che sta a cavallo del baglio ho inserito un bullone inox che permette alle viti che incontrano le traverse di avvitarsi nell'elemento metallico.
Una volta completata la presa della resina ho montato scafi e traverse. Era la prima volta ed ebbi l'aiuto muscolare di Gigi e morale di Alessia. Il sistema adottato ha rivelato un'ottima resistenza, consentendo una discreta rapidità di montaggio della struttura.
A questo punto avevo sotto gli occhi la forma definitiva. Il mio catamarano era questo. Avrebbe avuto questo tipo di ingombro e per montarlo ci voleva questo poco tempo sperimentato (almeno per unire i due scafi). 
Dubbi e incertezze erano svaniti davanti all'evidenza solida e robusta del catamarano montato, quando sollevandolo la prua di uno scafo, l'altro seguì ubbidiente. Ero riuscito a dare rigidezza all'insieme. Quella notte dormii sereno e soddisfatto
Ora si tratta di posare la coperta e coprire la struttura. Pensavo che il più era fatto, ma non era proprio vero. Il mio progetto prevedeva due aperture sugli scafi per riporre oggetti (utili nel caso di campeggio nautico), per cui la coperta lasciava due vuoti che richiusi con due coperchi di marino da 10mm.
La posa della coperta fu un lavoro abbastanza lungo, più di quanto avevo previsto, anche perché la composi a pezzi per utilizzare i tutti i ritagli. poi ho resinato il tutto e corretto le sbavature con stucco poliestere e resina addensata.

Ora potevo rimontare tutta la struttura completa di coperta e prendere le misure dei raccordi delle traverse allo scafo. Per terminare gli scafi non mancava molto lavoro, ma i raccordi delle traverse (come tutti i dettagli) richiesero tempo e pazienza. Realizzai le sedi in resina che inglobavano le lame sporgenti dei supporti metallici per le traverse.
 
Levigai la struttura e stuccai con poliuretanico. (l'epossidico costa troppo e in questo caso non da niente di più).

Per le due derive fisse ritagliai due pinne secondo progetto dal pannello di 15mm e le resinai sugli scafi ribaltati immobilizzandole con una struttura realizzata con i mezzi morali ìriciclatiî dalle prime fasi di lavorazione.

Pur con una superficie di contatto così esigua, é incredibile la resistenza della resina che regge le pinne agli scafi. Rinforzai comunque il collegamento con 2 strati di tessuto e stuccati le imperfezioni. Fu un operazione abbastanza lunga perché volevo un risultato perfetto. Alla fine mi arresi: un paio di piccole imperfezioni si potevano accettare. Il colore farà il suo dovere. Restavano da completare i due vani portaoggetti, ma disposi l'opera per la verniciatura
Gli scafi sono quasi terminati. E' ora di pensare ai timoni con tutti i supporti che permetteranno la rotazione e l'alzata delle pale. Ho realizzato dei supposti particolari, un po' copiati un po' inventati. Le barre dei timoni sono in tubo di anticorodal 6060 e devo dire che tutto funziona abbastanza bene come anche l'alzata delle pale é abbastanza semplice.

Aggiornamento Settembre 2003
 
E’ ora di verniciare gli scafi.
Ho optato per un fondo di vernice poliuretanica bicomponente in modo da correggere eventuali lievi imperfezioni ed avere un’ulteriore protezione. 
Il fondo degli scafi è stato successivamente carteggiato diverse volte fino ad ottenere una superficie quanto più possibile levigata e specchiante per accogliere la colorazione definitiva.

Ho inoltre deciso di lasciare parte della coperta con il compensato marino a vista, resinato e verniciato. Mi dispiaceva troppo ricoprire l’intera struttura con il fondo poliuretanico!

Nel frattempo è stato realizzato il piede d’albero e l’unione degli scafi alle traverse è stato modificato, invertendo il concetto di base. Invece di avvitare le traverse agli scafi, avvito gli scafi alle traverse.
Le viti inox, sono state rese solidali agli scafi e le traverse si possono in questo modo incastrare perfettamente senza perdere tempo, durante il montaggio. Le traverse sono quindi bloccate con i bulloni.
Il montaggio è evidentemente più rapido e non ci sono problemi di sporcare le sedi delle viti.
 
 
 
 

 

La colorazione ha richiesto del tempo, gli scafi sono stati appesi al soffitto e verniciati a spruzzo con uno smalto, anche questo poliuretanico. Tre “mani” di colore sono state sufficienti a coprire perfettamente. 
L’effetto definitivo è molto diverso da quello precedente. Gli scafi appaiono più slanciati e snelli, e il colore del legno e le traverse d’alluminio, risaltano molto di più.
E’ liscio e specchiante e sembra quasi di fargli un torto appoggiandolo sull’erba incolta.
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Naturalmente sono stati verniciati anche i supporti dei timoni con lo stesso colore (blu oltremare). Le pale sono state mantenute del colore legno naturale, protette con vernice trasparente, come parte della coperta
Lo sforzo che produce l’albero sulla traversa centrale, quando subisce il carico del vento, non è da sottovalutare. Per questo motivo, seguendo le più classiche tipologie dei catamarani di questo genere, ho dotato la traversa centrale del cosiddetto “dolphin striker”.
Composto da due tiranti in acciaio inox ø 6 e da un puntone costituito da un tubicino inox ø 12 sp2, il “dolphin striker”.ha la funzione di alleggerire la flessione provocata dall’albero sulla traversa.
Ho realizzato dei collegamenti sulle traverse tramite viti passanti imbullonate, con i tiranti saldati al puntone. Appoggiandosi sulla traversa, si percepisce immediatamente la tensione assorbita dai tiranti. E’ stato un lavoro piuttosto lungo e meticoloso viste le saldature su elementi così delicati ma il risultato è stato soddisfacente.
Questo è il risultato ad oggi del catamarano.
E’ molto rigido e pesa c.a. 25 kg per scafo. Relativamente leggero e ritengo di poterlo trasportare su una vettura di media grandezza.

Albero e vele
E’ ora di pensare all’albero e alle vele.
Dopo una estenuante ricerca, mi sono messo il cuore in pace: vele e tantomeno alberi usati per catamarano non si trovano!
Ho valutato l’armo con albero a flessione; realizzato prototipi sia di albero sia di vele; progettato sezioni forse un po’ improbabili per il peso, ma non del tutto insensate (forse).

Successivamente ho scoperto l’esistenza in commercio di canalette per l’inferitura e ho aggiornato e semplificato il progetto immaginando un tubo ø70 schiacciato ai poli per ottenere più momento d’inerzia sull’asse longitudinale con l’applicazione di questa canaletta su tutta la lunghezza.
Questa soluzione mi permette di rendere l’albero divisibile senza troppi problemi e avere un peso nettamente inferiore alla soluzione precedente. (c.a. 1,5 kg/m)

L’albero dell’altezza di 7m, scomponibile in due parti, viene issato a 7/10 dell’altezza con sartie aqquartierate, uno stralletto di prua come nelle più classiche tipologie di cat. L’albero a compressione, naturalmente, se necessario, verrà munito di diamante per controllare la flessione laterale.

Per l’albero forse è tutto ma ora bisogna cercare una vela adeguata.
E’ sbagliato progettare un albero senza sapere che tipo di vela sarà inferita. Nel mio caso, una sommaria idea ce l’avevo. Sapevo per certo che la linea dell’inferitura non avrebbe avuto un allunamento troppo pronunciato (per sopperire alla flessione dell’albero che nel mio caso dovrebbe essere minima), per cui, con l’aiuto di Sailcut, cercai di progettare una randa adeguata a alle mie necessità.
 

La scelta del profilo, approdò su un NACA  0012, (abbastanza “magrolina”) e la forma la decisi in base a gusti estetici e fattori quali il Cv (centro velico) in relazione al Cs (centro di spinta laterale). La randa dovrà essere completamente steccata come quasi tutti i cat di ultima generazione.
Per realizzare un disegno che mi rendesse soddisfatto, ci misi molto tempo. Acquistai la dispensa “Far da se le vele per la propria barca”, chiesi consigli a destra e a manca, iniziai a osservare con occhio critico qualsiasi tipo di tessuto che mi si presentasse davanti, contattai alcuni velai per qualche consiglio (i velai, tirando acqua al loro mulino, cercano in tutti i modi di dissuaderti dalla tua eroica impresa) e alla fine stampai le coordinate dei ferzi da ritagliare.
Queste sono le schermate del programma Sailcut che ho usato per progettare le coordinate, i profili, i rinforzi ecc della randa.
Molto utile e anche abbastanza semplice da usare sapendo quali sono i parametri giusti da considerare per ottenere una vela buona ed efficace.
Era il momento di iniziare la vera e propria realizzazione.
Mi sono fatto inviare (12m^2) di Lankotex da Mario Marti e nei giorni di Pasqua 2003 ho iniziato a ritagliare i ferzi. Sembra un operazione banale ma, in realtà, ritagliare sagome con la precisione del millimetro su di un laminato plastico di 12m^2, non è una cosa poi così semplice.
Dopo essermi allenato un po’ con la macchina da cucire di mia mamma, ho acquistato diversi decine di metri di  filo poliestere e ho iniziato a unire i vari ferzi, precedentemente assemblati con il nastro biadesivo, con cucitura a zig-zag del passo di 3-4mm.
I problemi maggiori, a parte l’inceppamento della macchina ogni 50cm, sono stati quando ho dovuto far passare quasi 6mq di vela sotto la spalla della piccola macchina da cucire.
In un secondo tempo, ho ritagliato i rinforzi necessari e ho cucito la ralinga risvoltata nel laminato.
Per le stecche ho adottato listelli di Ramino, molto flessibile e resistente e le ho rastremate dove ritenevo necessario.


In fin dei conti era anche giunta l’ora di provarlo, per cui mi sono sbrigato appena conclusi gli esami di stato e ho terminato le ultime cose.
Il trampolino è costituito da un telone da camion pesante. Per il circuito della randa ho utilizzato un bozzello a 2 vie e uno a 2 vie con strozzascotte.
Le lande sono state realizzate in acciaio inox saldate, avvitate in posizione dei dormienti laterali esterni e imbullonate al tenditore che sostiene i cavi d’acciaio zincato.
Per permettere un agevole rotazione del piede d’albero, ho inserito tra la traversa e la “U” di anticorodal che sostiene l’albero, i cuscinetti della forcella di una vecchia bicicletta. Ruota benissimo, fin troppo!

Il varo è avvenuto a Lignano sulla foce del Tagliamento attorno alle 8 del mattino. Presenti mio padre e mia madre.

Gli scafi si possono trasportare sul portapacchi di una vettura media senza particolari difficoltà.
Sono leggeri da sollevare e non creano problemi di visibilità per chi è alla guida.
Nelle foto si possono notare la varie fasi del montaggio.
In circa 3 quarti d’ora si riesce a scaricare e a montare completamente. Per fortuna non avevo dimenticato niente a casa!
 
Indescrivibile l’emozione nel vederlo galleggiare come previsto.
Quella mattina non c’era proprio un filo di vento. Pure il filetto di lana segnavento non dava segni di vita. L’attraversata del Tagliamento è stata piuttosto difficoltosa però, non potevo mica aspettare che uscisse un po’ di vento…l’emozione mi avrebbe dato la forza di soffiare se fossimo restati piantati in mezzo al fiume in balia degli yacht tedeschi che escono in mare dalla vicina marina.

Per fortuna è uscito un po’ di vento e sono riuscito a fare alcuni test.
E’ indubbiamente stabilissimo, con poco vento e in due persone, trascina tantissima acqua e non riesce a planare. E’ molto orziero avendo solamente la randa e tende a scarrocciare chiudendo l’angolo di bolina.
Da solo è molto più veloce, anche con non molto vento riesce a planare. E’ davvero una soddisfazione sentire gli scafi che saltano sull’onda e vedere gli schizzi che bagnano le prue provocando un baffo d’acqua che si stacca dal bordo.
Da solo, dà molte soddisfazioni, l’onda si chiude dietro le pale dei timoni e non provoca turbolenze dannose.
Con vento fresco, ho rotto un paio di stecche della randa in strambata (consiglio stecche di plastica) e ho deformato il piede d’albero! Il dolphin striker ha resistito benissimo sopportando grossi sforzi soprattutto sotto raffica.

Dovrò cambiare la prima stecca con una più rigida ed eventualmente  inserire una rotaia per la scotta della randa.
In generale sono molto soddisfatto dell’opera anche se, ad oggi ho già modificato le poppe degli scafi, rastremandole in modo da poter planare più agevolmente.

Certamente adotterò un fiocco per avanzare il Cv e magari inserirò un paio di derive a baionetta per chiudere l’angolo di bolina.
Per quest’estate la modifica delle poppe può bastare, adesso me lo godo un po’, finalmente, dopo tanto lavoro.
 

mi dai qualche dettaglio sulle canalette che hai trovato?

Per quanto riguarda la canaletta, l'ho ricavata da un profilo quadro di alluminio da 15x15mm sp1mm al quale, senza non pochi problemi, ho realizzato un taglio longitudinale con una sega circolare manuale! Ho cercato tanto canalette in commercio ma non ne ho trovate. So che ce ne sono o magari ce n'erano in maggior misura quando quasi tutti gli alberi di derive (420 - 470
ecc) adottavano questo sistema.
La canaletta esterna rivettata ha eliminato molti problemi sui quali mi scervellavo. E' una soluzione anche abbastanza elegante e molto efficace.
Resta il problema della flessione dell'albero. Nel mio caso un tubo da 70mm sp2mm di anticorodal si comporta abbastanza bene, anche se la flessione si percepisce dalla sartia sottovento piuttosto lasca.


 

Alessandro Comuzzi comuzzi_alessandro@libero.it