Costruzione
di un Old Baggie, progetto
di Paolo Lodigiani
La scelta
Anzitutto partiamo dalle richieste di base, che sono poi quelle che
determinano la scelta di un progetto. Io sono un (ormai) vecchio
velista, appassionato, ma con esperienze limitate al day- sailing, per
vari motivi di cui forse il più importante è che mia
moglie ha il terrore della vela, per cui non ho mai potuto pensare a
qualcosa di più impegnativo. Ho avuto varie barche, dal 420, ad
un paio di piccoli cabinati che ho trovato noiosissimi, ad un laser,
splendido, ma ormai troppo “giovanile” per un 63enne. Ho poi il pallino
di navigare da solo, anche perché non ho amici velisti, e gli
amici non velisti in barca sono una palla al piede. Quindi, meglio soli
che…
Devo aggiungere che la mia carissima moglie, pur odiando la vela, ama
il mare, e le piace un sacco andare in barca…a motore… su barche
stabili!
Conclusione, volevo una barca che fosse divertente, che potessi
governare da solo, che avesse una stabilità di forma
soddisfacente per poter andare a motore e che fosse BELLA. Si
perché quando uno si impegna a lavorare per un anno, e spende
una cifra considerevole, con cui potrebbe tranquillamente comprare un
plasticone usato, alla fine deve essere orgoglioso del lavoro
fatto, e poterlo guardare con piacere oltre che timonare con
soddisfazione.
Conclusione, ho esaminato tutti
i progetti che ho trovato su internet,
ho scartato tutti gli scafi a spigolo vivo, che non mi piacciono
affatto (pura considerazione estetica e personale), e ho scelto il
Baggie di Lodigiani. l’Old e non lo Young, in considerazione alla mia
non più verde età. Detto fatto, sono andato alla BCA, ho
conosciuto
Paolo Lodigiani, ho esaminato i vari progetti e ho acquistato quello
succitato, oltre ad un paio di dispense sulla costruzione in
strip-planking e sul fare da se le vele.
Dunque: la stabilità di forma c’è, basta guardarla. Credo
anche che sia
divertente, con una in velatura importante, e sono pure interessato
all’armo aurico, per una pura questione di curiosità: desidero
provarlo, e compararlo con quello Marconi. Infatti ho in progetto di
avere le due possibilità, aurico e marconi, entrambe
disponibili, e
intercambiabili. Con l’aiuto di Lodigiani ho calcolato il nuovo piano
velico e la nuova posizione dell’albero. Ne parleremo più avanti.
Per quanto riguarda la possibilità della navigazione in
solitario, ho
concordato con Lodigiani sulla necessità di avere un bulbo di
un’ottantina di chili in fondo alla deriva, e questo è la
più
importante delle modifiche da me effettuate. Ho poi pensato che per la
sicurezza psicologica di mia moglie, fosse opportuno alzare un po’ il
bordo, e ciò ho fatto, aumentandolo di 5 cm. Niente di
importante, la
barca non ha perso nulla della sua bellezza, e dentro ci si sente un
po’ più “protetti”.
Ho poi aggiunto un sedile rematore mobile, e ho ricavato tre gavoni,
due sulle fiancate e uno a prua, per stivare la varie cosette che
servono.
Resta la valutazione sulla bellezza… Be’ questa e solo una questione
personale. A me è piaciuta la sua linea pulita, un po’
demodé, la
carena tonda, la possibilità dei due armi… Giudicate anche
voi! |

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Costruzione
Si comincia dalla forma, composta da un telaio robusto, su cui si
montano le varie seste. Io ho usato materiale da recupero: i longheroni
sono fatti da fodere da muratore, 2 per lato accoppiate con distanziali
per una maggior rigidezza. Le seste sono state ritagliate da fogli di
playwood da 12 mm, che avevo in casa. Un po’ sottili, ma
sufficientemente rigide. Il tutto è stato messo in bolla e
montato, con grande attenzione al posizionamento, allineamento,
ortogonalità delle varie seste.
Per chi si volesse cimentare nella costruzione in strip planking, do un
consiglio: spenda tutto il tempo che ci vuole, e anche di più,
per fare una forma perfetta.. La precisione nel taglio delle
seste e il loro posizionamento sono assolutamente fondamentali per
ottenere un lavoro pulito. Si pensi che basta 1 mm nel posizionamento
verticale di una sesta che si crea un avallamento, o un
rigonfiamento che sarà perfettamente visibile a barca finita e
laccata, e che per essere compensato necessiterà di litri
di stucco epossidico (1mm x 1 mq = 1litro) e di giornate di lavoro di
levigatrice. Quindi: precisione, precisione e ancora precisione. Poi,
dopo il montaggio delle seste e relativa, quartabonatura, provare con i
corsi per verificare se filano bene,e , nel caso fare tutti gli
aggiustamenti necessari prima di incominciare veramente a tirare i
corsi.
Io ho montato il telaio su ruote per l’unico motivo che il capannoncino
in cui ho costruito la barca è piccoletto, e le ruote aiutano a
recuperare agio.
Preparazione dei corsi. Io ho usato listelli di cedro rosso da 10x 25
mm x 4 mt, recuperati dagli avanzi di un amico che, beato lui, si sta
costruendo una “barchetta” da 43 piedi.( Transeat…)

Ho “allungato” i listelli portandoli a 5 mt, con giunto a palella. Per
il taglio del giunto ho usato una levigatrice Bosch a carrarmato, con
un supporto autocostruito per tenere in posizione i corsi. Per
l’incollaggio ho realizzato dei semplicissimi supporti che mantengano
in posizione i corsi per il tempo necessario. Poi ho rastremato i
corsi, seguendo le indicazioni de Ted Warren nell’articolo che ho
trovato su “Canterino” Francamente non so se sia stata una grande
scoperta. Rispetto al sistema suggerito da vari autori, Paul Fisher in
testa, cioè quello di lasciare le strisce a larghezza costante,
e quando non ce la fanno più a seguire la torsione, inserire
delle strisce tagliate a misura per la compensazione, il sistema della
rastrematura sembra più pratico, i corsi si adattano meglio, il
lavoro corre di più. Però bisogna fare la rastrematura,
che non è così semplice, si consuma più materiale,
e insomma il bilancio in termini di tempo e denaro non è
così chiaro.

Dalle varie foto si vede come i corsi siano stati tenuti in posizione
sulle seste da viti (3x30) e mantenute in posizione l’una sull’altra
per mezzo di semplicissimi cavalieri di compensato.
Come colla ho usato resina epossidica caricata con polvere di legno,
quella che mi sono trovato nel sacchetto della levigatrice.

Alla fine dell’incollaggio dei corsi, la barca sembra quasi finita… E
invece qui viene il bello, e il noioso! Giornate di carteggiatura,
usando tutte le macchinette che avevo a disposizione, dal carrarmato,
alla levigatrice a disco, a quella orbitale. Comunque è stato
anche
necessario riempire alcuni avallamenti, dovuti a differenze di spessore
dei corsi e a imprecisioni di posizionamento delle seste (vedi sopra!)
con stucco di resina epossidica e microsfere.
Una volta raggiunto il risultato
voluto, e cioè una bella superficie
regolare, senza bozzi e buchi, e ragionevolmente levigata, sono passato
alla laminazione con tessuto di vetro da 280g, e resina epossidica
abbondantemente spennellata. Ho anche usato il peel play, che in teoria
dovrebbe dare una buona superficie regolare, facilitando il successivo
lavoro di levigatura, ma che in pratica, se non è posizionato
più che
bene, e non è facile, da più problemi che vantaggi. Io
non lo userei più. |

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Terminata la laminazione ho
inserita una striscia di rinforzo sulla chiglia, con abbondante resina.
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Poi, dopo una prima levigatura
grossolana, ho steso uno strato uniforme
di stucco epossidico, fatto con resina opportunamente caricata con
microsfere su tutta la superficie, e l’ho poi accuratamente carteggiata
con carta grana 240, per la preparazione alla verniciatura finale.
A questo punto ho estratto lo scafo dalla forma, ho smontato lo scalo,
lasciando solo il telaio, ho posizionato due forme sul telaio, per
trasformarlo in invaso, e ci ho appoggiato di nuovo lo scafo, dritto
questa volta.
Una rapida grossolana carteggiatura, per togliere monticelli di colla
residui dell’incollaggio, e quindi ho fatto la laminazione interna. |

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A questo punto vengono inserite
le paratie, opportunamente incollate, con una cordonatura di resina
caricata di rinforzo. |

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Anche lo specchio di poppa
è rinforzato con cordonatura e laminazione |

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Quindi tutti i rinforzi
longitudinali e la cassa della deriva. |

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Questa merita un’attenzione
particolare. Tenendo presente il fatto che
la deriva sarà zavorrata, è stato necessario realizzare
una cassa molto
più robusta di quella prevista da progetto (spessore
doppio,
rinforzare il suo fissaggio al guscio con cordonature, listelli
longitudinali e 3 madieri di compensato. |

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Si noti inoltre il barilotto a
poppavia della cassa, che alloggia il
bulbo quando la deriva basculante viene sollevata. A proravia della
cassa di deriva viene inserito il rinforzo per la scassa dell’albero.
Io l’ho fatto più lungo del necessario, per poter spostare
l’albero
verso poppa nel caso dell’armo Marconi.
Nella foto si notano anche i rinforzi longitudinali curvi che bordano
il pozzetto. Qui la mia mania di perfezionismo estetico mi ha portato a
fare una pazzia. Poiché non amo gli spigoli vivi, anziché
montare
questi rinforzi dietro l’alzata del pozzetto e sotto la coperta,
facendo si che la coperta si sovrapponga all’alzata del pozzetto, ho
fatto questi rinforzi di mogano, arrotondati, e portati ai livelli
dell’alzata e della coperta, per avere un bordo gradevolmente tondo nel
punto su cui appoggiano le gambe. Si vedrà meglio nelle foto
della
barca finita. Devo dire che il lavoro è stato decisamente
più lungo, ma
il risultato assolutamente gradevole.
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La lunga lista dei rinforzi si
conclude con la tavola regina sotto la coperta di prua. |

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Si montano quindi le
lande, prima del bottazzo, |

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e un cavallotto di prua
per il traino e l’aggancio della briglia del
bompresso. All’interno ho montato un tondino di acciaio, che fa da
punto di mura per il paranco di sollevamento della deriva. |

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Bisogna notare che, a causa del bulbo, nonostante la forma particolare
data alla testa della deriva, la forza applicata dal paranco è
considerevole, e il punto di mura del paranco deve essere
particolarmente robusto. Ne riparleremo più avanti.
Ora si monta il bottazzo. Anche
qui vale la regola di evitare gli
spigoli vivi, per cui ho seguito lo stesso criterio usato per la
bordatura del pozzetto
. |

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Il pozzetto è in
compensato marino, e viene preassemblato con la
tecnica cuci e incolla, poi inserito nel guscio e incollato a dovere.
Si notino le aperture dei gavoni laterali. Naturalmente i gavoni
laterali sono ermeticamente chiusi all’interno, per evitare che l’acqua
che eventualmente entrasse finisca in sentina. |

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Mentre per il pozzetto ho usato
compensato di okumè, per la coperta e
lo specchio di poppa ho usato compensato di mogano, con notevole
miglioramento estetico. L’ultima delle finezze è stata quella di
inserire un bordino da 5 mm di acero (bianco) tra la coperta e il
bottazzo, tanto inutile quanto bello! Non prendetevela con me, mi sono
divertito così! |

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Qui si notano anche bitte e passacavi, che ho voluto fare da me in
legno, anzichè comprare in plastica o in acciaio. |

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Viene anche assemblata la scassa
dell’albero, che permette uno
scorrimento dello stesso di circa 20cm, dalla posizione piu appruata
per l’armo aurico, a quella più appoppata per quello Marconi |

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Parliamo di verniciatura. Sul guscio, dopo alcune giornate passate a
stuccare e carteggiare, ho dato una mano di fondo epossidico,
un’ulteriore carteggiatura, una seconda mano di fondo, per evitare
porosità e microcrateri, e poi ho chiesto l’aiuto di un
carrozziere,
perché non mi fidavo a dare le mani di smalto poliuretanico
all’aperto,
con voli di moscerini e di fiocchetti di pioppo. Con 100 € me la sono
cavata, ed ho avuto fatto un lavoro professionale. Ho usato un colore
verde inglese, che si accompagna splendidamente con il mogano della
coperta. Si, lo so, i marinai mi diranno che una barca non deve mai
essere colorata di verde, che porta rogna… Be’, io non sono
superstizioso. Se dovessi naufragare ve lo farò sapere,
così eviterete
questo errore.
Per il pozzetto e la coperta invece mi sono arrangiato, Dopo le
classiche due mani di resina epossidica, e la conseguente
carteggiatura, ho dato 3 mani di smalto trasparente poliuretanico, con
filtro UV. Mi permetto ancora un consiglio a chi volesse fare da se,
senza averne l’esperienza ( è il mio caso!) NON FATEVI SCONTI!
Fate
tutto a dovere, senza cercare di risparmiare sul lavoro o sul tempo.
Tra ogni mano si deve carteggiare, in particolare tra le mani di
epossidica. Non so perché, ma eventuali irregolarità,
come strisciature
di pennello, buccia d’arancia, o che altro, non si compensano tra una
mano e l’altra, bensì si accentuano. Quindi carteggiare,
carteggiare e
ancora carteggiare, per aver una superficie perfetta prima di ogni
mano.
DERIVA E BULBO
Per la deriva ho seguito il progetto originale, per quanto riguarda la
parte bagnata, mentre ho allargato la testa per aumentare il braccio di
leva su cui agisce il paranco per il sollevamento.Pensiamo che il bulbo
di 80 kg agisce con un braccio di cm 115, mentre il paranco con un
braccio di cm 36, con la necessità quindi di applicare una forza
di 255
kg. |

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Altra considerazione: La cima
per il sollevamento agisce di taglio sul
profilo della testa della deriva, che se fosse semplicemente di
c.m. si aprirebbe a metà ( a me è successo alla prima
prova!) Ho quindi dovuto rinforzarne il profilo con inserti di legno
duro con la fibra posta trasversalmente. Io ho usato noce. |

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Il bulbo l’ho realizzato in piombo, in due metà, perfettamente
simmetriche, successivamente imbullonate e resinate sulla deriva.
Per la fusione ho proceduto così. Con del polistirolo espanso ho
fatto una mezza forma. Per avere un peso di 40 Kg, ho calcolato che il
volume dovesse essere di circa 3, 7 dm3, che ho misurato immergendo la
forma in una vaschetta piena d’acqua fino all’orlo, e valutando la
quantità d’acqua fuoriuscita per consentire l’immersione della
forma. Poi ho ricoperto la forma con uno straterello di cera, per avere
una bella superficie regolare e liscia. Con questa forma ho fatto una
controforma femmina in una cassetta di legno, usando malta refrattaria,
che ho lasciato asciugare perfettamente per almeno una settimana.
Questa forma l’ho messa in un forno a legna per pane che ho in
giardino, l’ho riempita di pezzetti di piombo acquistati in un recupero
rottami per 0,5 €/kg, e ho dato fuoco alla legna. Il piombo s’è
fuso, il forno è stato lasciato raffreddare, e il mezzo bulbo
estratto dalla forma. Al secondo giro, fortunatamente dopo l’estrazione
dell’altra metà, la forma si è spezzata. Ma ormai tutto
era compiuto!
Per la finitura ho usato una raspa da legno, che lavora benissimo sul
piombo, e ho quindi laminato il tutto con resina e tessuto di vetro.
Per il montaggio sulla barca ho dovuto faticare parecchio: sono
robustotto, ma non sono Ursus, e non è stato agevole. Con la
barca sul carrello stradale, e il bulbo appoggiato per terra, ho
infilato la testa della deriva nella cassa, e ho mosso il carrello
avanti e indietro finchè non sono riuscito a far coincidere i
fori ed infilare il perno (un vitone da 12 con dado autobloccante) poi
ho montato il grosso paranco per il sollevamento, fatto con due
bozzelli tripli da 52 e un ulteriore bozzello singolo, per fattore di
moltiplicazione totale di 12. La cima che regge tutto lo sforzo,
è di Spectra da 6.

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Il punto di mura del paranco
è in corrispondenza del cavallotto a prua.

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TIMONE
Per il timone ho seguito pedissequamente il progetto, senza modifiche
“creative”, salvo il posizionamento dello strozzascotte per la scottino
di ritenuta, che ho messo sulla cassa e non sulla barra, per mantenere
la passibilità di rotazione della barra stessa sul suo perno in
navigazione.
BOMPRESSO
Il bompresso è stato realizzato in Doussier, quattro strisce
piegate ed incollate per dargli la forma dovuta, quindi rastremate come
da disegno. Due ponticelli, uniti con viti passanti, costituiscono il
punto di mura del fiocco, e, sotto, l’aggancio della briglia.
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ALBERO
Dopo molti pensamenti e ripensamenti ho deciso per fare l’albero in
legno, vuoi per motivi estetici, vuoi perché mi è
più facile lavorare il legno in che girare tutta la Lombardia
per cercare profilati e piccole industrie che mi aiutino per la
lavorazione e l’anodizzazione.
Ho usato abete di val di Fiemme di prima, tagliato a misura e incollato
per fare uno scatolato di 70x70, come da disegno. E’ stato poi piallato
carteggiato fino a ridurlo di sezione circolare. |

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La canalina è stata
realizzata con una fresata longitudinale e
con dei listelli incollati a chiudere |

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Una mano di mordente color larice,e poi le solite mani di resina
epossidica e le tre mani di poliuretanica per finire.
Alcuni particolari mostrano la carrucola in testa, l’attacco delle
sartie, le gallocce per le drizze, sempre autocostruite. Le sartie sono
in tessile
(Spectra da 4)
BOMA
Naturalmente, anche il boma è stato fatto in legno, pieno questa
volta. Per l’appoggio all’albero ho preferito il metodo tradizionale,
con la forcella e un paranco
caricabasso.
La base della randa non viene inferita sul boma, quindi niente
canalina. Per tendere la base ho messo una carrucola e uno strozzascotte
Si notino poi l’attacco e il rinvio per la borosa della prima mano di
terzaroli.
PICCO
Non c’è molto da dire. Anche questo di legno pieno, con sistemi
d’aggancio per la drizza e per la randa.
Si noti la forcella incurvata, ottenuta autocostruendola in forma con
strati successivi di placcatura di noce da 2mm di spessore.
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VELE
Anche queste autocostruite, sia per provare l’emozione, sia per fare
un’altra esperienza, sia per risparmiare, almeno in un primo momento.
Ho usato, come tutti, il SW sailcut 4 (oggi c’è Sailcut CAD,
più bello e più completo) e come materiale il Lancotex.
Purtroppo non ho trovato indicazioni pratiche sufficienti per la
determinazione dei vari parametri delle vele, che sono tanti e tutti
importanti per una buona efficienza della vela. Alla fine ho usato i
parametri riportati qui di seguito:
Io l’ho realizzata incollandi i ferzi col biadesivo Venture Tape, e
quindi cucendoli, da un solo lato, a MANO!!! Non l’ho fatto per amore
di una tecnica antica, ma solo perché la mia Singer trentennale
non riesce a trascinare correttamente quel materiale un po’ scivoloso
che è il Lankotex.
Com’è venuta? Ne parleremo più avanti, con i commenti
sulla navigazione. Esteticamente non c’è male, il Lancotex
è piacevole a vedersi, le finiture sono discrete. Certamente il
materiale è piuttosto elastico, e quindi non si può
pretendere molto sul mantenimento della forma.
E questo è il fiocco:
Alcune fotografie mostrano vari
particolari delle vele e dei
rinforzi. |

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Il fiocco ha incorporato lo strallo, sempre in Spectra da 4.
VARO
Eccoci al momento cruciale, il
momento della verità: la barca va
in mare! A Numana (An) inizia la sua vera vita. |

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L’albero viene alzato agevolmente da una sola persona; prolungando la
drizza del fiocco con una cimetta e facendola passare nel passacavo di
prua si mantiene l’abero in posizione finchè non viene montato
il bompresso e fissato il tutto.
Poi, issate le vele, è iniziata la navigazione… Bene, l’inizio
è stato una vera delusione! Il vento era debolissimo, e la
barca, fortemente poggera, non riusciva neppure a virare di prua.
Lavorava solo il fiocco e sembrava che la randa non esistesse neppure.
Bene, ingoiato il rospo mi sono messo a ragionare, ho appoppato di 20
cm l’albero, ho aumentato l’inclinazione, e, miracolo! La barca si
è rapidamente equilibrata e si è messa ad andare come si
deve.
CONSIDERAZIONI
Dopo un mese di uso giornaliero, ho alcune considerazioni da fare:
Con il notevole peso del bulbo, il sistema di ritenuta in posizione
della deriva, fatto con cime e strozzascotte non è sufficiente:
con un po’ d’onda la deriva bascula e batte pericolosamente sulla
cassa. Ho messo un perno passante che unisce solidamente la deriva con
la sua cassa, e il problema è stato risolto.
Le vele sono discrete con venti medi. Con venti leggeri sono un po’
magre. Ho intenzione di farne un altro set, più grasse.
L’armo aurico è bello, affascinante, e anche abbastanza
efficiente, ma un po’ più complicato del Marconi. Infatti ho
avuto qualche problema con il picco, e ho in mente alcune piccole
modifiche da implementare quest’autunno su albero e picco.
Ho senz’altro la necessità di prolungare verso poppa la scassa
dell’albero, per avere un po’ più di tolleranza e per l’armo
Marconi, che comunque intendo provare.
L’esposizione al sole e all’acqua di mare ha provocato qualche micro
fenditura nella finitura della coperta: credo che le famose 16 mani di
vernice poliuretanica vantati dalla Riva sulle sue barche non siano un
vezzo, ma una necessità per la durata. Sarà un altro
lavoro per l’autunno.
Il punto di scotta del fiocco è opportuno possa essere regolato,
per compensare il posizionamento dell’albero ed eventualmente la
riduzione del fiocco. Quindi installerò delle rotaie.
Dal lato positivo devo dire che gli obbiettivi sono tutti stati
raggiunti:
la barca va bene, è potente, ed è perfettamente
governabile da una sola persona.
E’ anche stabile a motore, e mia moglie ci viene volentieri!
Ed è bella!
CONCLUSIONE
Sono molto soddisfatto, e non mi disturba il fatto di avere ancora
qualcosa da fare: mi terrà occupato e mi eviterà di
pensare al prossimo progetto!
Magari ci risentiamo l’anno venturo con un articolino d’aggiornamento.
Se qualcuno fosse interessato alla costruzione di un Baggie, e volesse
avere qualche suggerimento in più, dopo aver acquistato il
progetto dalla BCA mi contatti: sarò felice di condividere con
lui la mia esperienza che, lungi dall’essere completa, ritengo
abbastanza significativa.
Il mio indirizzo è capelizzari@libero.it