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Pur vivendo
ai margini dell'Appennino, in Campania, ho sempre avuto la passione per
il mare e in particolare per le barche, non a caso, tra tutti i mezzi
di trasporto preferisco le navi e trascorro volentieri del tempo in un
porto a guardare ogni cosa che galleggi. Non avevo mai realizzato i miei sogni di navigatore (della domenica), vuoi per difficoltà geografiche (vivendo a 60 km dal mare le cose si fanno più complicate), vuoi per la preoccupazione di spendere cifre abbastanza importanti. Ecco, poi, che mi imbatto in un sito di autocostruttori di barche: "il cantierino" e da questo comincio a scoprire tutto un mondo di autocostruttori, in Italia ed all'estero (soprattutto!), con decine e decine di siti ed esperienze. Quindi, dico a me stesso, si può fare! Rispetto a qualche decina di anni fa ho lo spazio, l'esperienza di bricoleur ed anche una disponibilità economica... mi monto la testa e parto alla caccia del progetto giusto! Voglio una barca a vela, monoscafo, bella e veloce, non grande, una deriva lunga al massimo 4,5 metri, altrimenti non entra nel garage, e poi... senza altre esperienze, penso, è meglio non strafare e contenere i rischi. Spulcio tutti i siti che trovo sull'argomento ma non trovo niente di così bello da entusiasmarmi: modelli vecchi come il cucco, addirittura ridicoli (quelli pensati da alcuni autocostruttori d'oltreoceano), provo addirittura a fare da me qualche schizzo ma mi preoccupa il risultato e lascio perdere. La trovo! E' bella (al mio occhio) e scattante come la desideravo, facile (a detta del progettista) da costruire e quasi della giusta grandezza, 4,7 metri: l'Alexa's Rocket (il nome è tutto un programma!). E' una deriva sportiva ma adatta anche alla crociera, dalla linea attuale, filante, a fondo piatto e 4 spigoli, la superficie velica originale è di 13 mq su randa e fiocco con armo a sloop frazionato. |
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Compro i piani, li studio bene e progetto le piccole
modifiche personali, riduco tutte le misure per arrivare alla lunghezza
di 4,2 metri, la superficie velica si riduce a 11 mq e, tra lo
scetticismo di parenti ed amici, parto nell'impresa, apro il cantiere
nel mese di aprile del 2004. Compro 5 pannelli di CM di okumè da
6mm e 2 da 10mm ed inizio la tracciatura ed il taglio degli elementi
strutturali, prima quelli più semplici, i setti trasversali, poi
penserò ai pannelli dello scafo. Non incontro nessuna difficoltà se non quella di sbagliare qualche misura a causa del sistema adottato sui piani (per fortuna niente di grave), intanto già mi fa paura il pensiero dei giunti a palella! Tutti prodotti occorrenti per la costruzione li acquisto su Spray (devo ringraziare Luigi Scarnicchia per i preziosi consigli sull'utilizzo della resina, degli inerti e degli altri materiali per la costruzione, oltre che gli amici virtuali della mailing-list del Cantierino): |
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- resina
epossidica EC148 con indurente W148; - tessuto di vetro tela da 200 g/mq; - cariche per la resina (silice, microfibre di cellulosa, microsfere fenoliche, talco); - nastro di vetro biassiale e di tela di vetro 0/90°; |
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I giunti a palella vengono abbastanza bene, occorre solo
tanto lavoro e precisione. Ho sovrapposto i due fogli di compensato,
sfalsati della larghezza del giunto, e ho sovrapposto al tutto una
fascia guida, sempre di compensato, come limite per la palella
superiore. Ho sgrossato con il pialletto elettrico e poi, con precisione maggiore, con la pialla manuale, poi ho rifinito con carta vetrata montata su un attrezzo autocostruito a forma di "frattazzo". L'incollaggio è stato effettuato con epossidica caricata con microfibre e silice colloidale. Ad ogni giunto è stato sovrapposto un pezzo di nastro di vetro 0/90° all'esterno e due pezzi con parziale sovrapposizione all'interno. |
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Ho montato
i pannelli laterali sui setti trasversali usando delle viti, non in
maniera precisa, serve solo a dare una forma allo scafo per la cucitura. Per quest'ultima ho utilizzato del filo di rame da 1,5 mm recuperato da una vecchia matassa di filo elettrico rigido. A differenza delle istruzioni nel progetto ho chiuso il punto di cucitura all'interno dello scafo e non all'esterno, questo per poter sigillare ogni giunto con del nastro, all'esterno, in modo da evitare colature di resina durante l'esecuzione dei cordoli interni. A questo punto qualche riflessione sull'utilizzo della resina: per la preparazione della resina ho utilizzato piatti di plastica (circa 250 in tutto!), mentre per dosare i due componenti ho utilizzato delle siringhe da 60 ml per catetere (ne ho consumate 5 coppie, in quanto dopo un po' si intasano e lo stantuffo non scorre bene); dalla mia esperienza risulta ottimale miscelare al massimo 100 ml di resina per volta (più relativo indurente), con una temperatura superiore ai venti gradi è difficile riuscire ad utilizzarne di più; è anche consigliabile non miscelarne troppo poca, aumenta l'errore di dosaggio e si rischia di rovinare il lavoro, io ho cercato sempre di preparare il lavoro in modo da utilizzare almeno 50 ml di resina; |
I pannelli laterali dello scafo montati sui setti. | Uno spigolo cucito, gli errori di taglio si possono correggere successivamente | Uno spigolo sigillato con nastro adesivo per evitare colature di resina |
Una volta cuciti gli spigoli, i setti trasversali sono stati
posizionati con precisione ed è stata controllata la simmetria
dello scafo, che è risultata subito perfetta. Ormai lo scafo ha
preso forma e l'entusiasmo è alle stelle! A questo punto ho iniziato la resinatura della parte interna dello scafo partendo da prua: la resinatura progressiva da una estremità permette di operare su piccole porzioni di scafo e di lavorare bagnato su bagnato. Ho tagliato i punti di rame quanto più corti possibile ed ho piegato verso lo spigolo l'avvolgimento, in modo da inglobare tutto il filo nei cordoli. Ho realizzato i cordoli con resina caricata con microfibre e silice, stendendo la resina con una spatola d'acciaio larga abbastanza da lasciare un cordolo piatto (la sezione è triangolare). In realtà i cordoli dovrebbero essere concavi, ma ho trovato difficile ottenerli. Prima che la resina di un cordolo asciugasse completamente ho resinato il nastro di vetro biassiale e ho dato due mani di resina pura sulle superfici interne dei pannelli. |
Lo scafo visto da prua. | Il dritto di prua resinato (successivamente ho aggiunto un altro listello sovrapposto al primo) | I primi cordoli di resina caricata con inerti |
Nella parte più larga della prua stendo
il nastro di vetro in senso trasversale, in modo da rivestire tutto il
fondo e non solo gli spigoli. In questo modo tutta la parte interna di
prua è completamente rivestita di tessuto di vetro, a favore
della rigidità e resistenza. I due rinforzi in compensato sul fondo dello scafo che si vedono nelle foto sono una mia idea... frutto della nota preoccupazione di insicurezza degli autocostruttori alle prime armi. |
Dopo aver effettuato tutti i cordoli, resinato il nastro e
l'interno dei pannelli per tutto lo scafo, ho incollato i listelli che
fanno da sostegno a tutti i pannelli della coperta. Sul fondo,
all'interno dello scafo, ho laminato il tessuto di vetro da 200 g/mq
fino a 15 cm sopra la linea di galleggiamento (fino a 10 cm sopra
l'ultimo spigolo). Probabilmente (le istruzioni sul progetto sono in
inglese ed estremamente sintetiche) la laminazione descritta si
riferiva alla parte esterna dello scafo, ma io, per non sbagliare e per
la mania suddetta, ho preferito effettuare la laminazione del tessuto
sia all'interno, sul fondo, sia all'esterno, su tutto lo scafo. Per i listelli di supporto ho usato prima del mogano africano, in listelli 20x20 mm trovati dal fornitore di CM, poi, andando in falegnameria vicino casa ho trovato addirittura l'okumè, tagliato in listelli 25x25 mm, come da progetto. |
Il listello del setto centrale sul quale va incollata la tuga, ho effettuato dei tagli per ottenere la curvatura. | Il listello montato sul setto, ho utilizzato del Douglas per maggiore robustezza, è la zona dove sarà posizionato l'albero | Laminazione del tessuto di vetro da 200 g/mq sul fondo dello scafo, ho steso la resina con pennello e spatola di gomma |
L'operazione successiva è stata quella di effettuare
i fori guida per il taglio della finestra della deriva e capovolgere lo
scafo per la resinatura esterna. Dopo aver tagliato e carteggiato a filo i punti di rame ho stuccato con resina caricata con microsfere fenoliche gli spazi ancora liberi degli spigoli, con una successiva piallatura e carteggiatura ho arrotondato un po' gli spigoli e aggiustato i difetti dati dal taglio dei pannelli. Su ogni spigolo ho resinato il nastro biassiale da 15 cm di larghezza stendendo sul legno la resina col rullo, incollato il nastro quando la resina era ancora appiccicosa, premendolo col rullo, e impregnando il tutto utilizzando il pennello. |
Il nastro posato sullo spigolo impregnato di epossidica, col rullo si distende il nastro sulla resina, in modo che questo resti fermo. | La successiva impregnazione del nastro con epossidica, ho utilizzato un pennello picchiettando sul nastro per una impregnazione completa. | La nastratura degli spigoli completata, l'uso del nastro biassiale aumenta la resistenza ma, a mio parere, è più difficile da impregnare e assorbe più resina del nastro di tela 0/90°. |
Dopo aver nastrato gli spigoli dello scafo, l'operazione
successiva è stata quella di laminare tutta la superficie
esterna col tessuto di vetro. Ho preferito tagliare pezze trasversali invece di strisce longitudinali, a detta di alcuni si spreca meno tessuto. Per semplicità di esecuzione ho impregnato il tessuto sullo scafo asciutto, senza prima preimpregnarlo. Appoggiata la pezza sullo scafo ho tirato bene la resina con una spatola di gomma per pulire i vetri, utilizzando il pennello per distribuire la resina e nei punti più difficili, il lavoro è venuto perfetto, senza bolle e senza sprechi di resina (nella foto un particolare della superficie ultimata). Dopo una scartavetrata ho dato una mano di epossidica pura a rullo, per uniformare ancora di più la superficie. Nelle giunzioni tra le pezze (4 in tutto) queste si sovrappongono di un paio di cm, alla fine, per eliminare il gradino che si crea ho stuccato lateralmente con epossidica e microsfere fenoliche e ho scartavetrato, fino ad intaccare lo strato superficiale di tessuto. Con lo stesso stucco ho eliminato tutti gli altri gradini creati dal nastro di vetro, in modo da ottenere una superficie praticamente piana. |
A questo punto, dopo una completa carteggiatura, lo scafo
è pronto per la finitura, eseguita, su consiglio di Luigi
Scarnicchia, con uno stucco preparato con resina e talco finissimo. Ho distribuito e poi tirato lo stucco con una spatola rettangolare di acciaio molto flessibile, ripassando più volte con la lama molto inclinata, quasi piatta sulla superficie, in modo da lasciare uno spessore sufficiente di stucco (quando la resina è solidificata si vede il tessuto sottostante come coperto da una lastra di vetro di spessore intorno al millimetro. Completata la stuccatura ho carteggiato tutto lo scafo con la levigatrice orbitale e carta 60 e poi a mano con carta ad acqua 800. Diciamo che questo è stato il lavoro più massacrante, 4 intere giornate di rumore, polvere e olio di gomito (quest'ultimo, ad un mese di distanza, fa ancora male)! Nella foto si vede lo scafo dopo queste operazioni. Sembrava... un enorme "scarrafone" (scarafaggio per gli extra-campani)! Come? Scarrafone? Ma si! Ecco il nome per la mia barca: "SCARRAFONE LATINO"! Anche in onore del più noto "MASCALZONE" di Onorato. |
Il lavoro è andato avanti con lo scafo di nuovo
raddrizzato per la finitura dell'interno. Ho tagliato i pannelli delle
panche (non ho potuto utilizzare le misure di progetto in quanto ho
abbassato l'altezza di queste, che erano in origine a filo del bordo
scafo, per lasciare un bordo interno dell'altezza di 7 cm) e fatto i
fori per i gavoni di poppa e i tappi di ispezione, ho tagliato il
pannello per il fondo del pozzetto e ho tagliato e incollato il
bottazzo, costituito da tre strisce di compensato da 6 mm (io ne ho
posizionate due all'esterno ed una all'interno dello scafo. La costruzione del bottazzo è stata abbastanza laboriosa, in quanto si tratta di strisce a doppia curvatura, quindi è impossibile utilizzare un listello dritto, per cui ho ritenuto più semplice e conveniente utilizzare i ritagli di compensato (per tagliare le strisce per intero avrei dovuto acquistare un altro foglio di compensato), dai quali ho tagliato delle strisce un po' più larghe e lunghe una trentina di cm. Ho segnato sullo scafo con la matita l'altezza del bottazzo lungo la fiancata e ho incollato le strisce tra loro (senza ancora incollarle allo scafo) con colla poliuretanica, seguendo il segno fatto e serrandole allo scafo con i morsetti, in modo da dare la doppia curvatura. A colla asciutta ho staccato la striscia così ottenuta dallo scafo (nella foto è appoggiata a terra e si vede come questa abbia conservato la curvatura) e ho piallato il lato inferiore fino a farlo coincidere col segno sullo scafo, dopodichè ho incollato il bottazzo sempre seguendo il segno, il sovrappiù, nella parte superiore, è stato poi eliminato con la pialla successivamente. La terza striscia di CM è stata incollata sul lato interno dello scafo e sul pannello orizzontale della panca, funzionando anche da sostegno per quest'ultimo. |
Questa foto è venuta male ma è
sufficientemente chiara per vedere il lavoro di riempimento dei vuoti
per avere una riserva di galleggiamento per rendere la barca
inaffondabile. Ho inserito sul fondo, sotto il piano del pozzetto, anche a scopo di irrigidimento, e nella parte mediana delle panche laterali, 150 bottiglie di plastica da 2 litri, avendo cura di sigillare il tappo con silicone, annegate in schiuma poliuretanica (8 bombole per 40 litri di schiuma ognuna... ma non mi pare proprio che ogni bombola abbia prodotto questo volume!) o fissate tra loro con qualche goccia di silicone (riempire tutto di schiuma costerebbe una cifra!). In totale ho raggiunto più di 300 kg di riserva di galleggiamento, quando la barca finita (l'ho pesata poi) arriva a 120 kg. |
Il gavone di prua verniciato con smalto marino prima della chiusura col pannello superiore. | La tuga è stata rivestita di tessuto per irrigidirla e poi è stata stuccata come lo scafo | Particolare della traversa, composta da due strati di CM da 10 mm, nella quale verrà fatto il foro per l'albero |
Il foro attraverso il quale si accede al perno della deriva. | La seduta delle panche laterali è stata ricoperta di tessuto di vetro per aumentare la resistenza. | Particolare del pozzetto col fondo ricoperto di tessuto di vetro. |
Ho scelto di montare un sistema avvolgifiocco (anch'esso
autocostruito), sia per poter governare la barca anche da solo, sia per
avere la possibilità di ridurre il fiocco con vento forte. Nella foto si vede la tuga finita, con il passascotte costruito in compensato con boccola inox per la cima del rollafiocco. A prua ho costruito la sede per il rollafiocco ritagliando una "finestra" triangolare nella tuga (chiusa nella parte sottostante tramite un pezzo di compensato). Il supporto in acciaio inox è fissato alla ruota di prua attraverso bulloni passanti (la testa dei quali, all'esterno dello scafo, è annegata nella resina). Per avere la comodità dell'avvolgifiocco ho dovuto sacrificare un po' di superficie del fiocco, in quanto il sistema sposta il punto di attacco dello strallo più a poppa di alcuni centimetri. |
Il lavoro è quasi terminato, dopo aver dato due mani
di resina e relative carteggiature, c'è da fare solo dei cordoli
per raccordare in maniera più piacevole le panche e la cassa
della deriva col fondo del pozzetto, la falchetta con le sedute. Non ho stuccato le sedute delle panche e il fondo del pozzetto, a differenza di tutte le altre zone. Questo per avere, nelle mie intenzioni, una superficie leggermente più ruvida, antisdrucciolo. Devo dire, dopo un mese di uso, che non è servito a molto. A piedi nudi e con un po' d'acqua in pozzetto si scivola maledettamente, ed inoltre l'aspetto finale da' un senso di... grossolano. L'anno prossimo vedrò di rifare tutto il pozzetto in maniera più soddisfacente. |
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Qualche riflessione riguardo la deriva: dopo aver navigato un mese posso dire che il sistema a compasso è sostanzialmente comodo tranne che per alcuni aspetti. Innanzitutto ogni volta (in tutto tre, poi non l'ho fatto più!) che ho portato la barca a spiaggiare poi per ripartire sono stati cavoli, la sabbia che entra nella cassa della deriva blocca quest'ultima all'interno e per farla uscire ho dovuto inclinare la barca e tirarla fuori a mano. Questo succede in quanto ho utilizzato un sistema di movimentazione a cime, se ci fosse invece una grossa apertura in testa alla cassa e movimentando la deriva a mano forse le cose andrebbero meglio. Inoltre è difficile capire se e quanto è fuori la deriva, per ovviare a questo ho pensato di mettere dei segni sulla cassa della deriva, uno ogni 10°, numerandoli, e un riferimento sulla cima per abbassarla, in modo da sapere con colpo d'occhio quanta deriva c'è in acqua. |
Premesso che la barca DOVEVA essere pronta per
il 31 di luglio (per portarla tutto agosto al mare per le ferie), sono
arrivato a poterla verniciare 5 giorni prima della scadenza prefissata,
per cui non ho potuto ne' sperimentare prima la verniciatura a spruzzo,
ne' pensare ad un fondo preparatorio (anche se in effetti, almeno lo
scafo, era rifinito benissimo), ne', tantomeno, aspirare a più
di due sole mani di smalto. Il risultato, anche se piacevole, non è stato soddisfacente, almeno rispetto alle mie aspettative. Oltre ad alcune colature nel pozzetto, il problema principale è quello delle chiazze, appena visibili però, più lucide e più opache che, sicuramente, sono dovute ad imperizia. Per la verniciatura ho utilizzato quasi tutti i 4 kg di smalto poliuretanico bicomponente (la quantità è complessiva di smalto e relativo catalizzatore) che avevo acquistato, dato in due sole mani, vista la penuria di tempo a disposizione e senza nessun trattamento tra una mano e l'altra (praticamente ho verniciato, aspettato che asciugasse e portata a mare!). Con maggiore cura, perizia, pazienza ma soprattutto tempo, il lavoro sarebbe venuto sicuramente perfetto. Mi riprometto di rifare la verniciatura la prossima stagione, pensando anche ad un motivo colorato e soprattutto al nome, che non ho avuto il tempo di scrivere sullo scafo. |
Considerazioni finali Ho scritto queste righe a settembre, al ritorno delle ferie e dopo almeno 60 ore di navigazione complessive, quindi dopo aver visto e provato il frutto del mio lavoro (la foto è esplicativa, il nome sullo scafo è un fotomontaggio). Ho lavorato tanto? Si, direi che mi sono ammazzato di lavoro, ma solo perchè avevo una scadenza prefissata per potermi godere la barca e solo 3 mesi a disposizione (è stato anche salutare: sono dimagrito di 6 chili!). Mi sono divertito? Si, malgrado la fatica devo ammettere che mi sono divertito. Mi sono divertito nel veder crescere pian piano una barca da 6 fogli di compensato, mi sono divertito nel dover pensare a come risolvere dei problemi, mi sono divertito a vedere le facce di amici e parenti quando hanno visto quello che stavo facendo. Ma soprattutto mi sono divertito dopo, in mare! Ho risparmiato con l'autocostruzione? Beh, non sono pratico di barche, ne' conosco il valore reale di quella che ho fatto io, ma credo alla fine, avendo fatto tutto da me, compresi albero, vele e alcuni accessori, che il costo complessivo (ho speso in tutto intorno ai 2000 euro) sia molto meno rispetto ad una barca nuova e forse meno di un usato in ottime condizioni. Lo rifarei? Si, lo rifarei con una barca più grande, ho detto tutto! |
![]() Scarrafone Latino in navigazione a Torre Vado (LE) in bolina larga, io faccio da prodiere, in questo caso. |
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